INVALIDITÀ: UN CONCETTO DA UNIFORMARE

F. Zappaterra

P. Carassai

G. Iacovelli

INTRODUZIONE

Con la recente riforma pensionistica (L. 8 agosto 1995, n. 335, G.U. 16 agosto 1995, n. 190) si è inteso perseguire l’obiettivo di riportare sotto controllo, mediante provvedimenti in grado di conferire maggiore omogeneità ad un mosaico di prestazioni difformi, un capitolo di spesa cresciuto a dismisura e di avviare un processo di contenimento e di risanamento del debito pubblico di cui la componente pensionistica costituisce una parte sostanziale.

La principale critica, espressa ancora recentemente dal Fondo Monetario Internazionale, riguarda la "estrema lentezza" della sua entrata a regime e dunque l’insufficienza del risparmio conseguibile nel breve termine. In questo contesto è anche collocabile la questione non risolta delle pensioni di invalidità permanenti e temporanee che mantengono una posizione preminente nell’ambito delle spese per la sicurezza sociale, gestite da istituzioni diverse, con regole differenziate e duplicazione di adempimenti e di oneri finanziari.

Infatti la riforma delle pensioni previdenziali ed assistenziali di inabilità ed invalidità è delegata, come numerosi altri importanti provvedimenti, a decreti (art. 3, comma 3) da emanarsi entro dodici mesi. Anche se la definizione di questi, entro i tempi prefissati, solleva notevoli perplessità, è certamente di grande rilievo che la questione "invalidità" sia ricompresa nel progetto generale e che la disposizione normativa abbia recepito orientamenti emersi dal dibattito dottrinario di quest’ultimo periodo.

I principi ed i criteri che dovranno ispirare le norme prescrivono in primo luogo "l’armonizzazione dei requisiti medico-sanitari e dei relativi criteri di riconoscimento con riferimento alla definizione di persona handicappata introdotta dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104". Si tratta di una direttiva "rivoluzionaria" in quanto sottintende una riprogettazione del sistema dovendo riguardare sia le normative che disciplinano il riconoscimento dello stato di invalidità nei diversi ambiti, sia le procedure di applicazione.

Questo secondo aspetto, anche prescindendo dalla "armonizzazione dei requisiti medico-sanitari" che differenziano le definizioni giuridiche delle diverse invalidità, è comunque perseguibile mediante una riorganizzazione dei procedimenti di erogazione, sulla base di un protocollo di valutazione unificato.

Seguendo questa linea, un primo importante passaggio dovrebbe puntare al raccordo, mediante lo sviluppo di opportune sinergie operative, tra strutture mediche ed amministrative specificamente qualificate (Usl/ Inps/ Inail/ M.L. Militare), utilizzando metodologie dipartimentali, l’impiego di collegamenti informatici e l’istituzione di una banca dati nazionale. Tale progetto, senza contrastare con il disegno di riordino generale della materia, sarebbe in grado di conseguire sia correttezza che uniformità valutativa con eliminazione delle sperequazioni che ricorrono nell’esperienza quotidiana, sia celerità nella definizione delle domande con il massimo contenimento dei costi (20).

Ma certamente una decisiva e fondamentale razionalizzazione si otterrebbe realizzando l’uniformità concettuale e conseguentemente valutativa delle invalidità nei diversi settori di interesse giuridico e medico-legale dove questa evenienza è contemplata come fatto costitutivo del diritto alla erogazione economica (2, 6, 7, 20, 24).

Una delle conquiste più innovative in medicina legale degli ultimi dieci anni è certamente la svolta impressa nella valutazione del danno alla persona dall’acquisizione giuridica della lesione del bene salute, inteso, in armonia con il preambolo della Costituzione dell’OMS del 1946, come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non la semplice assenza di malattia o infermità: sono stati così rivoluzionati i previgenti concetti base (9) per la valutazione dei danni professionali e da illecito civile.

La sentenza 184/86 della Corte Costituzionale, come noto, distingue, nella sostanza, quattro categorie di danno (tabella 1):

1) danno biologico;

2) danno alla salute;

3) danno patrimoniale;

4) danno morale.

EVENTO

Qualsiasi menomazione della integrità psico-fisica = 1) Danno Biologico

CONSEGUENZE

I diritto giuridico leso: art. 32 Costituzione = 2) Danno alla salute

riduzione del benessere psico-fisico e sociale per:

-danno alla vita di relazione, -danno estetico, -danno alla capacità sessuale, -micropermanenti, -ecc.

II diritto giuridico leso: art. 2043 c.c. = 3) Danno patrimoniale

III diritto giuridico leso: art. 2059 c.c. = 4) Danno morale

Tabella 1. Le 4 categorie di danno risarcibile secondo la sentenza 184/86 della Corte Costituzionale, concernente la responsabilità civile.

Il danno biologico, definibile come menomazione dell’integrità psico-fisica della persona, costituisce l’evento base, prioritario e centrale, sempre presente in ogni lesione e sempre risarcibile, non è identificabile con il danno alla salute nel quale debbono essere conglobate tutte le categorie di danno a specifiche funzioni, reali o potenziali, quali l’efficienza estetica, la capacità sessuale, la vita di relazione, che riducono il benessere psicofisico e sociale del soggetto e sono diverse dal lucro cessante e dal danno morale.

Per quanto riguarda i rapporti intercorrenti fra danno biologico e danno alla salute, mentre il primo esprime un concetto medico-legale, quale è quello della menomazione somato-psichica, il secondo esprime un concetto squisitamente giuridico e cioè la violazione del diritto sancito dall’art. 32 della Costituzione (4).

Ma, a tale riguardo, persiste un notevole grado di confusione concettuale e semantica sostenuta da una disuguale giurisprudenza del merito in ambito di responsabilità civile e da sentenze della Corte Costituzionale nelle quali è invalso l’uso dell’espressione "danno biologico" per indicare il danno alla salute, così attribuendo al danno biologico un significato estensivo, ormai entrato nell’uso (14).

Tra le varie definizioni proposte, vale ad esempio quella accolta dalla Corte Costituzionale nelle sentenze 18 luglio 1991, n. 356 e 27 dicembre 1991, n. 485, nelle quali il "danno biologico", evidentemente inteso come sinonimo di "danno alla salute", è definito come il "danno alla persona, di carattere psicofisico, che sussiste a prescindere dalla eventuale perdita o riduzione di reddito e che va riferito alla integrità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni ed i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità".

In questa impostazione un aspetto ancora non risolto in modo soddisfacente riguarda la quantificazione, in termini percentuali, del danno biologico in quanto le Tabelle in uso e la consuetudine valutativa tengono conto, di regola, di parametri lavorativi e non morfo-funzionali. A parte la proposta molto parziale del Gerin (18) una impostazione morfo-funzionale la si ritrova nei barèmes delle "Guides" dell’A.M.A. (1), nel "Barème international" del Mellenec (30) e nel "Barème fonctionnel" di Concours Medical tradotto dal Canepa e al. (12), che possono costiture utili riferimenti in attesa di una Guida Italiana, in fase di avanzata elaborazione, da parte di una Commissione di Studio della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA). Diventa pertanto fondamentale arrivare a disporre di una scala di valori percentuali che non lasci spazio alla libera interpretazione di aggettivazioni (del tipo lieve, medio, grave), ma che risulti ancorata a dati clinico-strumentali verificabili.

A questo punto, una volta espressa dal CTU la valutazione percentuale del danno biologico, il giudice può apprezzare il danno alla salute graduando il valore del punto sulla base delle indicazioni relative all’entità delle ripercussioni negative che produce nel soggetto interessato.

Anche nel sistema previdenziale ed assicurativo-sociale il danno biologico, in quanto espressione di un danno, non già meramente anatomo patologico, ma funzionale, che si concretizza nell’ordinaria, elementare, essenziale quotidianità dell’essere umano, può assumersi come evento-base da valutare con lo stesso metro in tutti gli ambiti. Ogni suo riflesso sull’idoneità psicofisica a determinate attività, che, a seconda di età, sesso, livello culturale, preparazione ed attitudine professionale, può comportare la necessità di una riqualificazione o l’erogazione di prestazioni per invalidità costituisce un danno-conseguenza, al quale spetta una risposta differenziata a seconda dell’ordinamento giuridico di competenza (32).

Allo stesso modo le ripercussioni sociali del danno biologico richiedono agevolazioni socio-assistenziali per la tutela della dignità e dell’autonomia della persona handicappata.

La valutazione di tale danno-conseguenza, non passibile di stime percentuali, dovrebbe quantomeno in ambito assicurativo previdenziale ed assistenziale, seguire criteri che ne consentano un preciso inquadramento. Riteniamo rispondente a questa esigenza il protocollo per la determinazione delle potenzialità lavorative degli invalidi civili, previsto dall’art. 3, comma 2, del D.L. 509/88 (tabella 2).

LIVELLI DI LIMITAZIONE CRESCENTE DELLA POTENZIALITA’ LAVORATIVA

1) conservata senza limitazioni

2) conservata con limitazioni saltuarie

3) conservata con ausili tecnici e/o modifiche ambientali

4) possibile solo per determinati tipi di attività lavorative

5) limitata con ausili tecnici e/o modifiche ambientali

6) quasi abolita (o conservata in attività occupazionali non redditizie)

Qualunque sia il livello di potenzialità lavorativa, occorre precisare se, per la conservazione di essa, è indispensabile:

a

uso continuo di terapia farmacologica

b

trattamenti di riabilitazione

c

trattamenti chirurgici

d

corsi di riqualificazione

Tabella 2. Schema per la determinazione delle potenzialità lavorative a mente dell’art. 3 D.L. 509/88.

Giova ricordare che la determinazione delle potenzialità lavorative era stata anticipata dal Gerin (19), che suggeriva di non ricorrere, nell’ipotesi di incidenza del danno biologico sulla capacità lavorativa specifica, a stime percentuali, ma di utilizzare una valutazione aggiuntiva implicante quattro possibilità, integrabili con una quinta secondo altri A.A. (13), che vanno dall’assenza di ripercussioni sull’attività lavorativa esercitata, all’incompatibilità con qualsiasi attività lavorativa.

La determinazione delle potenzialità lavorative richiede una particolare esperienza sulla gestualità del lavoro, una sistematica, approfondita anamnesi lavorativa, una chiara e giusta percezione dei fenomeni di usura, controindicazione, pericolosità e declassamento del lavoro, per un servizio di qualità al singolo, nel pieno rispetto dei diritti della collettività. Consiste in un giudizio medico-legale, che, basandosi sul valore percentuale assegnato al danno biologico, personalizza caso per caso la compatibilità fra il complesso nosologico e le attività concretamente esercitabili dal soggetto in relazione a sesso, età, livello di istruzione, ecc.

Nel caso di un soggetto precedentemente occupato, oltre all’attività specifica dovrebbero essere prese in considerazione tutte le possibili occupazioni confacenti alle sue attitudini nell’ambito aziendale o in altre realtà lavorative; per i soggetti che non hanno mai svolto alcuna professione e si offrono sul mercato del lavoro con la sola preparazione della scuola dell’obbligo potrebbero essere considerati i lavori generici di manovalanza o impiegatizi a seconda della menomazione prevalentemente psichica o somatica e del livello di istruzione.

Anche la legge 104/92 fa riferimento ad una valutazione "positiva" del soggetto: "la persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura ed alla consistenza delle minorazioni, alla capacità complessiva individuale residua ed alla efficacia della terapia riabilitativa" (art. 3, comma 2); in questo caso però la "capacità complessiva individuale residua" va intesa come potenzialità della persona in senso lato, non solo occupazionale (35). Non viene mai richiesta una stima percentuale della menomazione, ma solo un giudizio qualitativo riferito alla domanda assistenziale inoltrata.

 

RESPONSABILITA’ CIVILE

La concezione, in tema di danno alla persona, espressa dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 184/86, nonostante i dieci anni trascorsi, ed il dibattito ultratrentennale che l’aveva preceduta, a partire dalla felice intuizione del Gerin (19), non è stata ancora uniformemente assimilata e si verificano, un po’ dovunque in Italia, sperequazioni, che conducono a giudizi valutativi difformi nelle diverse sedi di giustizia.

Anche un’analisi superficiale dei quesiti posti ai CTU dai vari tribunali, evidenzia, in materia, il persistere di equivoci ed interpretazioni personali circa il danno da risarcire in concreto. L’equivoco più frequente, come già detto, nasce indubbiamente dall’utilizzo come sinonimi di "danno biologico" e "danno alla salute", che in realtà, come ben delineato dalla nota sentenza della Corte Costituzionale del 1986, configurano due entità di danno ben differenti, equivoco peraltro mantenuto in essere da diversi medici legali. Inoltre, molti C.T.U. continuano ad utilizzare barèmes lavorativi, spesso senza neppure considerare lo scostamento del 20% o più, che esiste fra le tabelle lavorative e quelle morfo-funzionali, per le quali, in osservanza del principio dell’inesauribilità della validità umana, il 100% rappresenta la perdita non di una, ma di tutte le funzioni fondamentali, coincidente solo con la morte del soggetto.

Quindi, sebbene il danno alla salute si sia imposto all’attenzione prevalente degli operatori di diritto, persistono non poche incertezze nella sua applicazione nei casi concreti, sia per quanto riguarda l’indentificazione delle categorie da risarcire e la valutazione medico-legale del danno, sia per quanto attiene la liquidazione del danno.

Alla base della disparità di trattamento c’è il fatto che "il danno alla salute non costituisce un danno astratto ed uguale per tutti ... di talchè a parità di lesioni corrisponda una uguale misura di risarcimento" in quanto "il diritto alla salute garantisce lo stato psico-fisico concreto di ciascuno"(11).

Ma se il criterio equitativo costituisce una componente imprescindibile del metodo di liquidazione, non si può negare che la valutazione del danno biologico debba essere basata su parametri noti, standardizzati ed indifferenziati. Allo stesso modo il valore economico del punto, sia questo riferito al triplo della pensione sociale, al valore medio del punto o ad altro, maggiorabile del 50 % per le esigenze di elasticità e flessibilità, deve essere chiaramente definito e da tutti applicato, per completare un modello uniforme di liquidazione del danno alla persona.

Gli elementi da individuare in ogni caso concreto sono: la gravità della menomazione e la sua natura psichica o fisica; l’età del leso, e quindi la permanenza più o meno lunga della menomazione in relazione alle aspettative di vita; la coesistenza o concorrenza fra più menomazioni monocrone o con alterazioni preesistenti, perchè è evidente che la possibilità di compensi parziali da parte di altre funzioni può venir meno; i giudizi di probabilità di un danno futuro, sia in termini di aggravamento di una lesione, che di incompleta espressione di funzioni fisiologiche nei giovanissimi; la necessità di dover ricorrere ad ulteriori trattamenti sanitari medici o chirurgici; l’incidenza della lesione sulle attività quotidiane extralavorative, coniugali, familiari, sociali, culturali e sportive; le limitazioni nelle scelte occupazionali future ed i disagi ai quali il leso deve adattarsi per proseguire la stessa attività lavorativa, il maggiore sforzo o la maggiore usura (31).

L’adozione di una tabella ufficiale per la quantificazione del danno biologico contribuirebbe a portare uniformità di giudizio senza irrigidimenti eccessivi, consentendo al giudice l’individuazione di specificità caratterizzanti il singolo caso. In altri termini, una volta individuata la base comune nella valutazione del danno biologico (danno evento puro), i suoi riflessi negativi nei vari aspetti esistenziali, sociali, lavorativi consentirebbero al giudice di individuare, nel singolo, il relativo danno alla salute.

Si giungerebbe così all’eliminazione di quanto mai inutili sperequazioni che comportano tuttora richieste di valutazioni di danni multipli che oltre al danno alla salute vanno a identificare danni estetici, alla capacità lavorativa generica e specifica.

L’esame delle potenzialità lavorative, come definite dall’art.3 D.L. 509/88, può, invece, contribuire alla valutazione del danno alla salute, sia mediante il rilievo di semplici disagi, e, soprattutto, di usura lavorativa, esprimibili con una graduazione del valore del punto. Nella maggior parte dei casi solo per le più elevate percentuali di danno biologico si verranno a realizzare significativi livelli di limitazione lavorativa che potranno configurare anche un danno patrimoniale da lucro cessante, che peraltro presuppone, ex art. 2697 c.c., la prova rigorosa della riduzione di reddito a seguito del sinistro.

 

INAIL

L’assicurazione contro gli infortuni del lavoro industriale fu la prima assicurazione sociale obbligatoria, istituita in Italia con legge 17 marzo 1898, n. 80.

Attualmente tutta la materia è disciplinata dal T.U. di cui al DPR 30 giugno 1965, n. 1124 e, come noto, oggetto dell’assicurazione sono l’infortunio e la malattia professionale che tolgono completamente o parzialmente per tutta la vita l’attitudine al lavoro.

Ai fini della valutazione del danno da inabilità permanente l’attitudine al lavoro dell’assicurato va intesa come capacità lavorativa generica e non come capacità specifica acquisita nell’esercizio di un determinato mestiere e neppure come capacità lavorativa in attività confacenti alle attitudini del soggetto. A tali conclusioni è pervenuta la giurisprudenza sia in base alla formula legislativa, sia rilevando che le percentuali invalidanti indicate in tabella, la cui efficacia è tassativa, fanno riferimento solo al tipo di menomazione a prescindere dall’attività concretamente esercitata dal lavoratore.

In realtà l’INAIL, sulla base del proprio sistema tabellare, va ad indennizzare comunemente danni che non sono comunque patrimoniali e quindi costituiscono danno alla salute (3). In alcune decisioni i giudici di merito hanno considerato la riduzione dell’attitudine al lavoro componente integrale del danno biologico (evidentemente utilizzato come sinonimo di danno alla salute), del quale coprirebbe un terzo, corrispondente alla quota di giornata in cui la validità psico-fisica è dedicata al lavoro (25).

Le finalità alla base dell’origine del sistema assicurativo INAIL sono la tutela garantita dall’assicurazione in ogni caso, anche per evento fortuito e determinato da colpa del lavoratore, l’automaticità nella liquidazione dell’indennizzo, l’esonero del lavoratore dall’azione giudiziaria e dall’onere della prova, l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile (in quanto la misura del risarcimento deve essere limitata all’indennizzo erogato dall’INAIL, secondo le tabelle predisposte, anche se inferiore all’effettivo danno subito).

L’imprenditore deve per altro adottare, indipendentemente dalle disposizioni anti-infortunistiche previste dalla legge in generale o in relazione a determinate attività lavorative, tutte le cautele necessarie, secondo l’esperienza e la tecnica, a tutela dell’integrità fisica dei dipendenti.

Pertanto qualora il datore di lavoro riporti condanna penale, anche se si tratta di reato contravvenzionale previsto dalle norme in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il dipendente può adire le vie legali perchè gli sia riconosciuto il risarcimento integrale del danno subito e l’INAIL può esercitare azione di regresso nei confronti del datore di lavoro.

Anche in caso di eventi per i quali non sia prevista la tutela assicurativa il lavoratore può chiamare in giudizio il suo datore per un giusto risarcimento, pur dovendo sottostare all’onere della prova del danno subito e della sua relazione causale con la nocività dell’ambiente di lavoro, mentre il datore deve provare l’uso di tutte le cautele necessarie ai sensi dell’art. 2087 c.c.

Le problematiche che investono il grado di tutela dell’INAIL, il suo diritto di regresso , la posizione del datore di lavoro e l’azione del lavoratore per responsabilità civile, hanno portato a sentenze della C. Costituzionale, quali la n. 87 del 15/02/1991 che sottolinea la necessità di una innovazione legislativa riguardante l’oggetto di tutela, dovendo essere contemplato, oltre alla perdita della capacità generica di lavoro, l’intero danno, compreso quello alla persona; le sentenze n. 356 e 485, rispettivamente del 18/07/91 e 27/12/91, tracciano dei limiti al diritto di surroga dell’INAIL ex art. 1916 c.c., salvaguardando il diritto al risarcimento per danno biologico (inteso come danno alla salute) e danno morale dell’infortunato, con invito al legislatore a provvedere affinchè il lavoratore sia indennizzato per il danno "biologico" anche in assenza di responsabilità civile. Se si considera poi la storica sentenza n. 179 del 18/02/88, che ha esteso la tutela assicurativa anche a malattie professionali non comprese nelle liste ed oltre il periodo massimo di indennizzabilità della malattia professionale stessa dalla cessazione della lavorazione morbigena (però con l’onere della prova a carico del lavoratore) si deve prendere atto che sia le finalità che i vantaggi del sistema assicurativo INAIL sono profondamente mutati:

a) nella maggioranza dei casi di lieve-medio danno si assiste ad un cumulo fra l’indennità INAIL e la retribuzione, percepita nella stessa misura ante-infortunio;

b) in alcuni casi si ha perdita di capacità lavorativa specifica con perdita del lavoro, solo minimamente o per nulla compensata da un indennizzo che resta commisurato alla capacità generica (5);

c) i datori di lavoro sono sempre più spesso chiamati a giudizio per risarcire anche il danno alla salute;

d) le definizioni in contenzioso con l’onere della prova frequentemente a carico dell’infortunato ed i diversi gradi di giudizio hanno allungato in modo consistente i tempi di liquidazione dell’indennizzo o del risarcimento, con evidente nocumento per chi non ha altra fonte economica di sostentamento;

e) i meccanismi di surroga e regresso o tendono a spogliare il lavoratore anche di parte dei risarcimenti per danno alla salute o, per converso, limitati dalle quote di danno alla salute, non tutelano in modo adeguato il patrimonio comune istituzionale dei lavoratori contribuenti.

f) le divergenze di percentuale fra le due liste (industria ed agricoltura) sono grossolane, ingiuste ed anacronistiche (26).

L’INAIL, d’altra parte, dopo gli interventi della C. Costituzionale, con la delibera n. 59 del 05.11.91 ha insediato una Commissione di esperti con il compito di stabilire se il sistema risarcitorio civilistico privato è travasabile in un sistema indennitario pubblicistico e con quali modalità tecniche: i timori fondamentali sono la duplicazione dei risarcimenti (danno biologico e danno lavorativo generico) ed il costo sociale di una simile operazione, che richiederebbe l’abolizione della franchigia del 10%, almeno per quanto riguarda il risarcimento/indennizzo del danno biologico (26).

Le conclusioni dei lavori (10) riflettono i contrasti che hanno diviso gli esperti su due posizioni prevalenti, evidentemente inconciliabili:

1) le tabelle INAIL comportano ormai una tale supervalutazione delle menomazioni da poterle considerare già comprensive di quel pregiudizio all’integrità psico-fisica che non incide sull’attitudine al lavoro e pertanto sarebbe sufficiente un ritocco del T.U. per adeguare la tutela INAIL alle pronunce della Corte Costituzionale senza modificare nulla nella realtà;

2) è indifferente che il danno biologico sia totalmente estraneo, ovvero sia parzialmente o totalmente compreso nelle tabelle; il T.U. richiede un’operazione di completa revisione normativa al fine di pervenire ad una valutazione del danno alla salute uguale per tutti i soggetti e del danno all’attitudine lavorativa non più generica, ma multicategoriale.

Recentemente la Commissione di studio ha ripreso i lavori e se ne dovrebbero, a breve termine, conoscere i risultati. Circa gli orientamenti emersi, la seconda posizione è quella che meglio si avvicina all’ipotesi di applicazione dei principi indicati nella sentenza 184/86 in ambito INAIL, secondo la quale nel caso di infortunio o di malattia professionale deve precedersi, per tutti gli assicurati, l’indennizzo sia per il danno alla salute che per il danno patrimoniale.

In stretta analogia con quanto detto a proposito della R.C., la valutazione medico-legale del danno alla salute deve partire da una base comune, identica per tutti i soggetti a prescindere dal lavoro e dal reddito, e rappresentata dal danno biologico "puro" tabellato.

Il rischio, non certo aleatorio, di valutazioni arbitrarie, disomogenee e soggettive del danno alla salute verrebbe eliminato dall’utilizzo di una grigla valutativa che, partendo dal presupposto di un risarcimento in toto del danno biologico "puro" e tabellato, consentisse, poi, di individuare dei coefficienti sia di incremento del valore base del punto in relazione a fasce crescenti di percentuale del danno biologico e sia di decremento in rapporto aell’età del soggetto (tabella 3). Il fine è quello di ottenere una copertura del danno alla salute da infortunio lavorativo o malattia professionale rispondente alle esigenze di assicurare una garanzia differenziata e più intensa.

Sia il valore del punto, uniforme per tutte le categorie di lavoratori, e sia i coefficienti di maggiorazione potranno essere stabiliti in modo convenzionale, anche sulla base di necessarie verifiche attuariali. Per una ipotesi esemplificativa di graduazione di valore del punto si rimanda alla tabella 3.

COEFFICIENTE

A = 0

B=0,05

C=0,10

D=0,20

E=0,30

DANNO BIOLOGICO

1-10%

11-30%

31-50%

51-80%

> 80%

ETà (anni)

> 50

40-50

30-40

< 30

 

Tabella 3. Ipotesi esemplificativa di valutazione del danno alla salute in ambito INAIL; i singoli coefficienti moltiplicati per il valore base del punto determinano la maggiorazione relativa alle due variabili esaminate.

Esempio: 50% di danno biologico = coeff. C = 0,10;

45 anni = coeff. B = 0,05;

somma C+B=0,15. Il valore base del punto andrebbe quindi maggiorato del 15%.

Se da un lato questa soluzione può senz’altro peccare per quanto attiene la stretta personalizzazione del danno alla salute, dall’altro otterrebbe un equo e soprattutto omogeneo ristoro del danno subito dal lavoratore.

La liquidazione del danno biologico può prevedersi tanto in capitale quanto in rendita - il ricorso alla modalità di calcolo a punto assicura l’identità della liquidazione per ogni singola menomazione - e la rendita potrebbe essere assogettata alle procedure di revisione previste dal T.U. Trattandosi di assicurazione sociale, sembra necessario mantenere la possibilità, da parte dell’assicurato, di richiedere un’ulteriore rivalutazione del danno a seguito di un eventuale successivo aggravamento degli esiti dell’infortunio o della malattia professionale. Nel caso di decesso dell’assicurato, dovrà essere prevista una particolare forma di indennità.

Per quanto concerne il danno patrimoniale "lavorativo", tenuto conto che nell’ambito del danno alla salute è gia considerato il pregiudizio alla capacità lavorativa generica (= attitudine al lavoro), ciò che viene qui in discussione è l’espansione lavorativa del danno alla salute in quanto incidente sull’attività del soggetto leso e determinante una riduzione della capacità reddituale.

Per la valutazione di questo aspetto non si ritiene confacente il riferimento alla capacità lavorativa specifica, che comporterebbe una valutazione medico-legale personalizzata sovrapponibile a quella civilistica, per cui verrebbe disatteso il principio della solidarietà che informa tutto il sistema previdenziale.

Appaiono anche problematiche le soluzioni che prospettano l’erogazione di una integrazione economica, aggiuntiva al danno alla salute, prevedendo dei coefficienti di maggiorazione differenziati per categorie professionali, suddivise tenendo conto delle strutture psico-fisiche prevalentemente impegnate nelle attività tipiche di ciascuna categoria (17), oppure per fasce di danno biologico. Nella prima ipotesi si finirebbe per indennizzare in modo differente una medesima menomazione a seconda della categoria di appartenenza, ignorando le peculiarità del singolo caso; nella seconda ipotesi, presumendo che oltre un certo livello di danno biologico si abbia sempre una compromissione dell’attualità di guadagno, si riconoscerebbe una automatica maggiorazione dell’indennizzo indipendentemente dalla effettiva incidenza della menomazione sulla capacità reddituale.

Anche in questa evenienza, appare rispondente la determinazione delle potenzialità lavorative (tabella 2) dove i crescenti livelli di limitazione permettono di rilevare, caso per caso, la compatibilità fra il complesso nosologico accertato e le attività concretamente esercitabili dal soggetto. In particolare, per quanto riguarda la ripercussione negativa del danno alla salute sulla sfera lavorativa patrimoniale, dovrebbero risultare convenienti i riferimenti alla capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini ed alla impossibilità lavorativa assoluta come troviamo nelle definizioni legislative che regolano le prestazioni dell’INPS (20).

La determinazione delle potenzialità lavorative andrebbe ad individuare i seguenti casi:

1-2 = potenzialità lavorativa conservata, eventualmente con limitazioni saltuarie. Qualunque sia la percentuale di danno biologico non spetta alcuna rendita. L’eventuale disagio lavorativo si ritiene compensato dall’indennizzo per il danno alla salute; l’assicurato può infatti proseguire l’attività abituale con adattamenti accettabili.

3 = conservata con necessità di ausili tecnici e/o modifiche ambientali. Qualora le modifiche necessarie non fossero attuabili sul posto di lavoro in essere (asma o dermatiti professionali, ad es.) o fossero necessari dei corsi di riqualificazione professionale, occorre prevedere l’iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio con istituzione di una "rendita di passaggio". La capacità lavorativa andrebbe rigorosamente definite sulla base della L. 104/92, art. 19, modificando di concerto gli attuali rapporti con gli uffici di collocamento ai quali dovrebbero essere forniti concreti indirizzi circa la collocabilità individuale. In questa situazione, il rifiuto del collocamento senza giusto motivo comporterebbe la perdita della rendita di passaggio.

4-5 = possibile soltanto per determinati tipi di attività lavorativa, diversi dalle attività abitualmente svolte, oppure limitata e con necessità di ausili tecnici e/o modifiche ambientali. Spetta all’assicurato, oltre all’indennizzo del danno alla salute, una prestazione previdenziale analoga all’assegno di invalidità privilegiato ex art. 6 L. 222/84.

Questi infortunati dovrebbero comunque essere iscritti alle liste di collocamento obbligatorio con le modalità espresse al punto 3, senza la "rendita di passaggio", sostituita dall’erogazione dell’assegno d’invalidità. In caso di ripresa dell’attività lavorativa dipendente o autonoma a tempo pieno o a tempo parziale l’assegno andrebbe rispettivamente sospeso e ridotto del 50%. Oppure ipotizzando che nonostante la ripresa del lavoro sia persistente un danno patrimoniale "variabile" (derivante dall’abbattimento delle prestazioni straordinarie, dalla riduzione di incentivi per aumento delle assenze/malattia e dalla possibile compromissione degli sviluppi di carriera, ecc.), si potrebbe comunque mantenere una quota differenziata di rendita, ad es. il 30% per lavoro a tempo pieno ed il 65% per lavoro part-time.

Per il rifiuto, senza giusto motivo, del concreto collocamento, l’assegno d’invalidità andrebbe ugualmente decurtato del 50%, mentre in caso di intervenuta inidoneità alle mansioni, definita ai sensi dell’art. 19 della L. 104/92, e di licenziamento, andrebbe integralmente ripristinato.

6 = potenzialità lavorativa quasi abolita (o conservata per attività occupazionali non redditizie). L’assicurato è incollocabile in qualsiasi attività lavorativa. Il danno patrimoniale verrebbe ristorato dall’erogazione di una prestazione (rendita) analoga alla pensione d’inabilità privilegiata ex art. 6 L. 222/84, aggiunta all’indennizzo per il danno alla salute.

Per le prestazioni di cui ai punti 4, 5 e 6 dovrebbe essere mantenuto il criterio della incumulabilità ai sensi dell’art. 1, comma 43 della L. 335/95.

Fermo restando l’importanza determinante delle "potenzialità lavorative" è prospettabile anche l’introduzione di valori soglia (30% per il collocamento obbligatorio, 50 e 80% per le due rendite vitalizie) analogamente per quanto ipotizzato per l’INPS e l’invalidità civile.

Il meccanismo testè proposto comporterebbe evidentemente l’abolizione di duplicazioni del risarcimento del danno e l’attuale frequente sovrapposizione di rendite, stipendi e pensioni. Anche l’aumento di costo legato all’abolizione della franchigia e quindi al risarcimento dei danni compresi tra l’1 e il 10%, verrebbe riassorbito dai risparmi sugli indennizzi del danno lavorativo. Inoltre, l’allineamento con quanto previsto per la responsabilità civile (danno alla salute e danno patrimoniale) assolverebbe pienamente i doveri assicurativi del datore di lavoro e, contemporaneamente, renderebbe lineare l’azione di regresso dell’Istituto previdenziale nei casi previsti dalla legge.

 

INPS

La normativa attualmente in vigore (L. 222/84) ha operato due significative modifiche in ambito previdenziale:

- l’adeguamento dell’Italia alla raccomandazione espressa il 27/9/1966 dal Comitato economico e sociale della CEE con l’introduzione di due categorie d’invalidità, quella parziale e quella totale, contemplate rispettivamente nell’art.1 (assegno d’invalidità) e nell’art. 2 (pensione d’inabilità);

- il passaggio dalla tutela assicurativa della capacità di guadagno a quella della capacità di lavoro.

è indubbiamente quest’ultima l’innovazione più significativa introdotta dalla legge di revisione n. 222/84 che costituisce, non tanto il derivato di una evoluzione dottrinaria, quanto l’effetto di una scelta tecnico-politica, promossa dalla sopravvenuta crisi finanziaria del sistema previdenziale, tendente a ridurre le dimensioni della tutela sociale previdenzialmente coperta, circoscrivendola a condizioni di bisogno non presunte bensì effettivamente esistenti (21).

In realtà, uno studio del CNEL del marzo 1980 imputava gli effetti degenerativi del sistema, evidenziati dalla proliferazione dei pensionamenti per invalidità, ad una politica assistenziale promossa sia dalle forze politico sociali che dalla magistratura. Altri fattori venivano poi individuati negli effetti psicologici della sentenza n. 160 del 1971 della Corte costituzionale che, nell’abbassare anche per gli operai la soglia della invalidità pensionabile alla misura del 50%, ha favorito il radicarsi del concetto del pensionamento facile; nel più elevato limite d’età previsto per la pensione di vecchiaia dei lavoratori autonomi (con l’età aumentano le malattie degenerative); nella evasione contributiva che ha spesso reso la pensione d’invalidità un surrogato di quella di vecchiaia; nella costituzione di rapporti di lavoro fittizi o di comodo, con la successiva prosecuzione volontaria della contribuzione. Concludeva pertanto il CNEL escludendo che fosse il riferimento alla capacità di guadagno il fattore principale dell’abnorme aumento delle pensioni d’invalidità (33).

Attualmente il bene protetto non è più la potenzialità lucrativa, ma l’integrità della capacità psicofisica al lavoro, cosicchè soggetti gravemente menomati, che per favorevoli circostanze mantengono una capacità di guadagno sostanzialmente piena, possono aver diritto all’assegno e viceversa soggetti non gravemente lesi, che per la particolare affezione o per le caratteristiche del mercato rimangono di fatto esclusi da ogni attività, non hanno diritto all’assegno.

Per coerenza con il contesto generale della legge, l’inabilità è stata correlata alla impossibilità di dedicarsi a qualsiasi attività lavorativa, impossibilità , anche in questa fattispecie, legata in stretto rapporto causale con l’infermità o difetto fisico o mentale.

Nonostante l’indubbio miglioramento in termini di equità e di risparmi della spesa pubblica, la legge 222/84 lascia ancora zone d’ombra:

1) sussiste tuttora una disomogeneità di giudizio fra regioni o addirittura fra ambiti diversi della stessa realtà regionale;

2) il ricorso giudiziario, dopo un iniziale decremento, si mantiene percentualmente elevato, con una soccombenza eccessiva da parte dell’Istituto, dovuta frequentemente alla non condivisione da parte di giudici e C.T.U. di una capacità di lavoro sganciata dalle condizioni socio-economiche;

3) recenti pronunce della Corte di Cassazione riaccreditano una interpretazione più estensiva della dizione "qualsiasi attività lavorativa" dell’art. 2 (pensione di inabilità) con riferimento al concetto di "lavoro proficuo" (33) e questo potrebbe comportare nuovamente ad una analisi (e valorizzazione) delle condizioni socio-economiche (22).

L’introduzione di un sistema tabellare nell’INPS è stato d’altra parte sempre osteggiato per la necessità di personalizzare la valutazione del danno, in quanto una medesima infermità o difetto fisico o mentale può influire in modo assai differente sulla capacità lavorativa attitudinale del singolo.

L’applicazione di un meccanismo tabellare di valutazione del danno biologico comune a tutti gli ambiti assicurativi considerati, consentirebbe già di per sè una migliore omogeneità valutativa costituendo, infatti, un punto di partenza comune. Per quanto riguarda le conseguenze negative che si riflettono sulla capacità lavorativa, un’attenta ed analitica valutazione delle potenzialità lavorative, come già descritto in ambito INAIL, dovrebbe essere in grado di uniformare e consolidare ulteriormente la metodologia medico legale.

L’adozione, infine, di un sistema nosologico computerizzato, comune a tutte le situazioni assicurative considerate, costituirebbe un adeguato mezzo di controllo circa l’erogazione delle prestazioni, in grado di evidenziare rapidamente situazioni di anomalie valutative.

Semplificherebbe di molto la procedura valutativa e insieme garantirebbe una migliore oggettivazione del danno complessivo, l’individuazione di determinati valori di danno biologico come soglia per il riconoscimento, non automatico, ma sempre soggetto alla valutazione medico legale, dell’invalidità e dell’inabilità in tutti gli ambiti. Tenuto conto del fatto che una riduzione della capacità lavorativa attitudinale in misura superiore ai due terzi si realizza solo per danni biologici di entità rilevante, questi valore soglia potrebbero essere indicativamente individuati nel 50% per il diritto all’assegno di invalidità e nell’80% per la pensione di inabilità. Il diritto alle prestazioni deriverebbe dalla integrazione fra percentuali prestabilite di danno biologico e prederminati livelli di limitazione delle potenzialità lavorative (vedi tabella 4). L’adozione di un protocollo di questo tipo apporterebbe un risultato positivo in termini di uniformità di giudizio in tutto il territorio nazionale; abbatterebbe la soccombenza giudiziaria mettendo a nudo atteggiamenti pseudo-assistenzialistici non supportati da elementi documentali; ridurrebbe, in un secondo tempo, nei termini fisiologici l’intero fenomeno con un importante risparmio di risorse. Pur tuttavia, ciò può indubbiamente comportare una minor possibilità di personalizzazione del danno, anche se l’introduzione di minimi fattori correttivi (p.es. 5%) al valore soglia di danno biologico, potrebbe già consentire di modificare lo stesso di fronte a specifiche situazioni lavorative attitudinali particolarmente pesanti o particolarmente leggere.

Inoltre, l’esame delle potenzialità lavorative, come secondo indispensabile requisito medico-legale, garantirebbe comunque il mantenimento di un certo grado di personalizzazione valutativa, ma solo quando fosse superata la soglia invalidante.

Anche in caso di invalidità INPS, in analogia con quanto ipotizzato per l’INAIL, dovrebbe essere consentita l’iscrizione alle liste di collocamento obbligatorio, con sospensione o revoca oppure riduzione della prestazione in caso di ripresa dell’attività lavorativa a tempo pieno o part-time, ovvero penalizzazioni della rendita in caso di rifiuto della rioccupazione.

 

PENSIONISTICA PRIVILEGIATA ORDINARIA

Il concetto di privilegio, che trae la sua origine dalla L. n.70 del 21.02.1895, è nato dalla necessità di tutelare i dipendenti civili e militari dello Stato che avessero subito, per motivi di servizio, menomazioni dell’integrità personale.

La prestazione, con caratteristiche di tipo indennitario, viene erogata a seguito di un giudizio medico legale che dovrebbe accertare l’esistenza o meno di un nesso di causalità o concausalità "efficiente e determinante", tra servizio espletato ed infermità o lesione denunciata. La menomazione, una volta riconosciuta come dipendente da causa di servizio, deve quindi essere ascrivibile, anche con criterio analogico, ad una delle categorie previste per legge dalle apposite tabelle pensionistiche, note come tabella A, comprendente otto categorie di invalidità in ordine decrescente, e tabella B. A queste si aggiungono ulteriori sistemi tabellari, alcuni di non specifico interesse medico, come per esempio la tabella C, altri da cui scaturiscono i cosiddetti assegni di super invalidità, tabella E, e per cumulo di infermità, tabella F (27, 34).

Allo stato attuale emergono chiaramente nell’ambito della pensionistica privilegiata ordinaria delle problematiche che investono sia aspetti più propriamente medico legali che di ordine economico:

1) le tabelle di riferimento sono anacronistiche e sono state solo assai parzialmente modificate dal D.P.R. n. 834/81 e dalla L. n. 656/86. Le valutazioni percentuali che sarebbero relazionate ad una capacità lavorativa generica, ma che, almeno in alcune parti, riecheggiano il concetto di un "super uomo" di sesso rigorosamente maschile, paiono, in più settori, non aver minimamente considerato i progressi della medicina negli ultimi decenni.

2) le norme, in generale, risentono chiaramente della loro estrapolazione da una legge riferita espressamente ad una situazione di emergenza come può esserlo solo quella prevista dalle pensioni privilegiate di guerra.

3) la mortificazione della criteriologia medico legale che viene affossata, al di là dell’operato delle singole C.M.O., da una prolifica giurisprudenza della Corte dei Conti che ha di gran lunga superato il "ciò che non si può escludere, si deve ammettere".

4) lo sperpero di danaro pubblico che si diffonde in mille rivoli spesso insufficienti a sostenere chi versa, di fatto, nel bisogno.

5) l’assenza di altre forme di previdenza con penalizzazione di alcune categorie di dipendenti rispetto ad altre. Basti citare, per esempio, l’impossibilità di ricollocare, nell’ambito dell’amministrazione, il dipendente militare riconosciuto inidoneo al servizio per infermità non dipendenti da causa di servizio.

Già questo fatto può chiarire le dinamiche spettacolari di alcuni riconoscimenti del nesso di causalità materiale tra servizio e patologia rilevata. Questa discrepanza è stata recentemente accentuata dall’introduzione, in base all’art. 2 comma 12 L. 335/95, per il solo personale civile dello Stato, della pensione di inabilità (ex art. 2 L. 222/84) per patologie non dipendenti da causa di servizio.

Seppure delineati per sommi capi, è evidente come questi problemi non possano essere risolti se non con una completa riorganizzazione del sistema. Lasciando a parte la pensionistica privilegiata di guerra, potrebbe risultare risolutiva l’applicazione a tutti i dipendenti civili e militari dello Stato delle stesse identiche proposte formulate per gli assicurati INAIL ed INPS.

Quindi: tabella valutativa comune per il danno biologico; risarcimento/indennizzo del danno alla salute; risarcimento/indennizzo del danno patrimoniale ex art. 6 L. 222/84 nel caso di infortunio lavorativo e/o malattia professionale; tutela ex art. 1 e art. 2 L. 222/84 per le infermità "comuni"; obbligo del possibile ricollocamento lavorativo all’interno della pubblica amministrazione nell’ambito di attività confacenti alle condizioni biopatologiche riscontrate, con sospensione dell’erogazione dell’assegno se l’attività viene svolta a tempo pieno o riduzione al 50% se l’attività viene svolta part-time; il ricollocamento dovrà necessariamente aver luogo indipendentemente dal riconoscimento del nesso causale fra lavoro e patologia.

 

INVALIDITà CIVILE

Il termine di "invalido civile" è stato introdotto con la legge 5/10/62, n. 1539 "Provvedimenti in favore dei mutilati ed invalidi civili" che regolamentava essenzialmente il collocamento obbligatorio per gli handicappati non da cause di guerra, di lavoro o di servizio.

Successivamente oltre al collocamento obbligatorio furono previsti per gli invalidi civili benefici economici quali l’assegno mensile di invalidità, la pensione di inabilità, l’indennità di accompagnamento, l’indennità di frequenza per i minori, l’indennità di comunicazione per i sordi prelinguali.

Oltre a questi, altri benefici si sono via via aggiunti, quali l’esenzione dal ticket sanitario, la fornitura di protesi ed ausilii, l’elevazione dell’età massima per la partecipazione a concorsi presso Enti Pubblici, l’esenzione da tasse scolastiche ed universitarie, il congedo straordinario per cure, la dispensa dal servizio di leva per i figli, un punteggio per le graduatorie ai fini dell’assegnazione di alloggi pubblici, il contrassegno per i parcheggi riservati, ecc.

Il riconoscimento di invalido civile è diventato quindi la chiave di accesso ad innumerevoli prestazioni dirette ed indirette, con punteggi "soglia" differenziati.

Attualmente la valutazione percentuale della minorazione viene calcolata in base alla tabella (D.M. 05/02/92, Ministero della Sanità), che fa riferimento alla capacità di lavoro generico, con possibilità di variazioni non superiori a 5 punti percentuali a seconda dell’incidenza delle menomazioni sulle occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto e sulla capacità lavorativa specifica.

Per i minori e gli ultrasessantacinquenni viene richiesta non una percentuale, ma una valutazione qualitativa sulle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età, salvo poi la necessità di esprimere una percentuale per l’erogazione dei benefici collaterali.

Con l’entrata in vigore dei dcreti applicativi relativi alla L. 104/92, l’intero settore dell’invalidità civile sarà soggetto ad una vera e propria rivoluzione sia di ordine metodologico che valutativo. Da un lato, infatti, la tutela sociale sancita dall’ art. 38 della Costituzione richiederà comunque una valutazione delle ripercussioni negative determinate dal danno funzionale accertato. Dall’altro sarà necessario guingere in concomitanza anche ad una valutazione in positivo delle capacità residue della persona, valutazione senz’altro complessa che richiederà inevitabilmente la cooperazione di operatori di vari settori, dal momento che logica conseguenza sarà l’attuazione di presidi atti ad esaltare ed indirizzare nel concreto le residue capacità verificate.

Attualmente queste problematiche, di non facile soluzione, sono allo studio di un’apposita commissione interministeriale i cui lavori sembrano comunque in procinto di concludersi.

Limitandoci, in questo contesto, alle ripercussioni negative del danno funzionale, l’adozione del parametro unico danno biologico tabellato permetterebbe una quantificazione percentuale delle minorazioni congenite o acquisite a tutte le età.

Anche in questo settore, quindi, la valutazione del danno biologico potrebbe costituire, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 3 L. 335/95, il punto focale dell’armonizzazione dei "requisiti medico-sanitari" di tutti gli ambiti previdenziali ed assistenziali.

Senza ricorrere a meccanismi valutativi eccessivamente complessi che potrebbero essere causa sia di pericolosi soggettivismi che di difficile verifica, si otterrebbe così, in una situazione di semplicità e linearità, quanto previsto dal legislatore e di cui da tempo si sente l’esigenza.

 

- Collocamento obbligatorio (C.O.).

La valutazione dovrebbe tener conto di tutte le infermità, anche di quelle subite per infortunio sul lavoro o per cause di servizio, specificandone la prevalenza se dovrà essere mantenuta la distinzione per categorie etiopatogenetiche di riservatari.

La nuova percentuale minima ai fini del collocamento, riferita a parametri morfo-funzionali e non di capacità lavorativa, si dovrebbe attestare nuovamente intorno al 30-35%; tale percentuale andrebbe considerata un prerequisito da contemperare con il parere espresso dalla Commissione sulle potenzialità lavorative del soggetto (tabella 2), ai sensi del D.L. 509, art. 3, comma 2, tenendo conto dell’età, sesso, cultura, attitudini e preparazione professionale: dovrebbero essere iscrivibili alle liste di collocamento obbligatorio i soggetti la cui potenzialità lavorativa risultasse limitata a determinate attività o mansioni, diverse da quelle che il soggetto sta o stava svolgendo a costo di usura o declassamento, questo per correggere l’ingiusta facilitazione che si determina talvolta a soggetti che in realtà non hanno veri handicaps nello specifico ambito lavorativo a cui sono dediti.

Il raggiungimento del requisito percentuale minimo dovrebbe comunque garantire il diritto ad eventuali protesi e ausilii per consentire la prosecuzione, sia pur limitata, dell’abituale attività lavorativa.

Qualche difficoltà si potrebbe supporre nella valutazione di soggetti che non hanno mai svolto alcuna attività lavorativa: per questi l’unica possibilità di applicazione in campi diversi da quello manuale generico è l’eventuale titolo di studio conseguito.

È tuttavia fondamentale effettuare una dettagliata analisi del mercato del lavoro e delle specifiche mansioni richieste dai posti destinati al C.O. nelle aziende pubbliche e private (24) per creare una banca dati con i profili dei requisiti richiesti da confrontare con la capacità lavorativa residua (36) e quindi realizzare degli inserimenti guidati e non casuali, per la piena soddisfazione dell’handicappato, del datore di lavoro e della Società tutta.

Sulla base della banca dati posti/requisiti andrebbe impostata anche la strategia formativa professionale meglio rispondente alla potenziale richiesta di lavoro dei prossimi decenni (16).

L’età massima ai fini del C.O. (attualmente 55 a.) non dovrebbe rappresentare una limitante assoluta, ma solo in riferimento alle menomazioni ed alle attività confacenti; se il soggetto non risultasse più collocabile dovrebbe essere prevista in alternativa una prestazione economica assistenziale o previdenziale di incollocabilità.

 

- Assegno e pensione.

Consistono nella stessa prestazione di circa £ 350.000 mensili, che, in base alle percentuali 74-99% o 100% è cumulabile con limiti di reddito personale annuo rispettivamente di circa £ 4.500.000 e 19.000.000.

Se è evidente che l’assegno mensile di invalidità rappresenta un sussidio per soggetti in attesa di collocamento al lavoro, nell’ottica di un recupero sociale, è altrettanto evidente che così non viene osservato l’art. 38 della Costituzione secondo il quale "ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale".

è infatti assodata l’esistenza di invalidi su tutto il territorio che restano iscritti per anni nelle liste di collocamento, senza trovare uno sbocco alle loro aspettative e sopravvivono ai margini della società, fuori da ogni decoro o sono spinti nell’illegalità, per cui andrebbero fissati limiti di reddito più realistici e con minor divario fra le due categorie.

Le percentuali soglia per il diritto alle prestazioni economiche, sulla base del danno biologico, potrebbero essere indicate nel 50% per l’invalidità parziale e nell’80% per l’invalidità totale, in modo del tutto analogo a quanto prospettato per l’ambito previdenziale INPS ed INAIL. Dal punto di vista medico legale, in tal modo, i due giudizi verrebbero a coincidere pienamente, pur rimanendo distinte dal punto di vista qualitativo, l’una come prestazione assistenziale, l’altra di tipo previdenziale. è evidente come la comune metodologia medico legale verrebbe così a creare una situazione di autocontrollo dei due sistemi, annullando le possibilità di tracimazione ora dell’uno, ora dell’altro, legate sia a fattori socio-politici che normativi. Anche in questi casi sembra più opportuno, a prescindere dalla fascia di appartenenza, un giudizio teorico di collocabilità o incollocabilità, (punto 6, tabella 3) in attività lavorative da parte della Commissione, che tenga conto della patologia, dell’età e cultura del soggetto (attività confacenti).

 

-Indennità di frequenza.

è prevista dalla L. 11/10/90, n. 289 per i minori di anni 18 che abbiano "difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età" per il ricorso continuo o periodico a trattamenti riabilitativi o terapeutici a seguito della loro minorazione.

è la riedizione dell’assegno di accompagnamento per minori, introdotto dall’art. 17 della L. 30 marzo 1971, n. 118 ed abrogato dall’art. 6 della L. 21 novembre 1988, n. 508.

Una valutazione percentuale del danno biologico non modificherebbe negli effetti il senso della normativa in vigore, né i requisiti sanitari ed amministrativi da essa previsti per beneficiare della prestazione.

Sorgono certamente perplessità nel valutare soggetti di pochi mesi, affetti da encefalopatie o cromosomopatie; per questi potrebbe essere sufficiente l’assegnazione di una percentuale rivedibile, fermo restando che si tratta di soggetti gravemente handicappati, subordinando la prestazione all’inizio dei trattamenti riabilitativi.

La norma prevede giustamente un legame di nesso causale fra la minorazione ed il trattamento riabilitativo-terapeutico, che dovrebbe essere rilevato dalla Commissione medico-legale; la frequenza della scuola dell’obbligo non può infatti essere considerata un trattamento riabilitativo-terapeutico per tutti i tipi di handicap, ma essenzialmente per i soggetti con gravi difficoltà di apprendimento o di relazione, i quali, pur non acquisendo sempre le nozioni minime per i normali passaggi di classe, risentono favorevolmente sia delle sollecitazioni intellettive, sia della socializzazione.

 

INDENNITà DI ACCOMPAGNAMENTO ED ASSISTENZA CONTINUATIVA

Tutte le leggi di previdenza ed assistenza contemplano interventi a favore dei soggetti non autosufficienti: nell’ambito dell’invalidità civile è vigente il disposto combinato degli artt. 1 della L. 21 novembre 1988, n. 508 e 6 del D. Lgs. 21 novembre 1988, n. 509; per l’INAIL vale ricordare gli artt. 76 e 218 del T.U. approvato con D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 e l’allegato 3 allo stesso, elencante le minorazioni visive, motorie e neuropsichiatriche che danno luogo al diritto; analogamente, un’indennità di assistenza e accompagnamento è prevista per i mutilati e gli invalidi di guerra (art.21 D.P.R. n. 915/78, art.6 D.P.R. n. 834/81, art.3 L. n. 656/86) e per gli invalidi per servizio (art.3 L. n. 111/84 e art.3 L.n.13/87), affetti da una delle mutilazioni o invalidità contemplate nella tabella E allegata al D.P.R.n.834/81 e successive modifiche (L. n. 656/86), tabella che prevede peraltro anche l’erogazione di un assegno di superinvalidità; infine l’art. 5 della L. 12 giugno 1984, n. 222 ha introdotto simile provvidenza nel contesto INPS (28, 33, 34, 36).

L’indennità di assistenza continuativa rappresenta una delega, in genere al gruppo familiare, di cura e vigilanza a soggetti che hanno perso o non hanno mai acquisito la capacità di espletare autonomamente le funzioni fisiologiche o di comunicazione, per i quali eventuali ricoveri in istituti pubblici, porterebbero a costi sociali insostenibili.

Per i minori di anni 18 l’indennità dovrebbe essere prevista solo per menomazioni di gravità estrema, che non consentano la frequenza della scuola materna o della scuola dell’obbligo neppure ai fini della socializzazione, ovvero per totale incapacità a deambulare o per deficit totale o parziale della vista. Andrebbero esclusi dall’indennità i minori di 2-3 anni, perchè l’impegno assistenziale richiesto è, in tale età, continuativo anche per i soggetti normali.

Particolarmente delicato è il rilievo del passaggio da una situazione di relativa autonomia alla necessità di assistenza continuativa in soggetti di età avanzata, per malattie degenerative che determinano un progressivo indebolimento delle funzioni elementari, quali la deambulazione, la vista, l’udito, il controllo degli sfinteri, la capacità cognitiva, con una graduazione estremamente variabile e neppure costante. Il diritto all’indennità di accompagnamento non si perfeziona ove le necessità si esauriscano con 1-3 interventi quotidiani, espletabili da servizi sociali integrati, previsti ovunque da norme attuative specifiche, quando invece gli interventi fossero più frequenti, l’impegno assistenziale lo si potrebbe ritenere di tipo continuativo (si veda anche circ. n. 14 del Ministero del Tesoro Div. I, prot. 0485, 28.09.92).

L’incompatibilità fra il ricovero in presidi pubblici e l’indennità di accompagnamento prevista dalla L. n.18/80, non è stata confermata dalla L. n.508/88, e ciò rende oggi possibile anche legalmente (di fatto avveniva anche prima dell’88) il pagamento di prestazioni economiche per una assistenza che viene fornita gratuitamente all’interessato da istituti ospedalieri o di lungo degenza.

Un aspetto ancora dibattuto è la compatibilità fra attività lavorativa, totale inabilità ed indennità di accompagnamento per non deambulanti o per ciechi, ammessa, ad es. per gli invalidi civili (art. 1 comma 3 L. 21 novembre 1988, n. 508), negata, con pregiudiziale amministrativa, non medico-legale, in ambito INPS (23).

Queste incongruenze dovrebbero trovare una soluzione univoca legislativa, che tenga conto degli eventuali contenuti risarcitori, previdenziali ovvero assistenziali dell’emolumento e definisca la dibattuta questione del limite di cumulo con il reddito personale.

 

CONCLUSIONI

La valorizzazione degli aspetti medico-legali della malattia, affinchè il cittadino sia reintegrato nello stato economico, oltre che nello stato di salute, fruendo di ogni beneficio riconosciutogli in applicazione delle leggi sociali, costituisce una delle finalità della medicina legale.

La nascita, da un punto di vista normativo, e lo sviluppo giuridico dottrinario indipendente dell’infortunistica, della pensionistica e della traumatologia della strada hanno creato dei comparti separati sia per quanto riguarda le leggi che le metodologie applicative, con proliferazione di prestazioni, economiche e non, frequenti sovrapposizioni di rendite e definizioni, aumento iperbolico della spesa pubblica, farraginosità delle procedure burocratiche e gravi disservizi per gli utenti.

Si rende quindi sempre più urgente un intervento legislativo, che pur riportando ordine nel campo, difenda il diritto dei cittadini ad una adeguata assistenza.

La stessa legge di riforma delle pensioni 8 agosto 1995, n. 335, scandisce i tempi, relativamente brevi, per intraprendere le iniziative legislative al fine di pervenire all’armonizzazione sia dei requisiti medico-sanitari che dei criteri di riconoscimento di tutto il sistema delle prestazioni previdenziali ed assistenziali.

L’analisi della situazione attuale e del dibattito dottrinario ripreso recentemente con energia consente di formulare i presupposti di una ipotesi complessiva (tabella 4):

Tabella 4. Schema riassuntivo dell’applicazione di una tabella con le percentuali di danno biologico (D.B.) e e determinazione delle potenzialità lavorative (P.L); i valori di D.B. e di determinazione delle P.L., valutati separatamente e quindi integrati, costituiscono i valori soglia per il diritto alle prestazioni.

AMBITO

RISCHIO TUTELATO

D.B.

P. L.

PRESTAZIONI A TUTELA DEL DANNO LAVORATIVO

R.C.

danno alla salute

 

1

2-3

4-5-6

nessuna

graduazione del valore del punto

danno patrimoniale (lucro cessante)

INAIL e

PENS.

PRIVIL.

ORD.

danno alla salute

ed eventuale

riduzione della

capacità lavorativa

30%

30%

50%

80%

1-2

3

4-5

6

nessuna

iscriz. liste di c.o. ed event. "rendita di passaggio"

assegno di invalidità ed iscrizione nelle liste di c.o.

pensione di inabilità

INPS

riduzione della

capacità lavorativa

30%

30%

50%

80%

1-2

3

4-5

6

non invalidi - nessuna

iscrizione nelle liste di c.o

assegno di invalidità ed iscrizione nelle liste di c.o.

pensione di inabilità

I.C.

riduzione della

capacità lavorativa

30%

30%

50%

80%

1-2

3

4-5

6

non invalidi - nessuna

iscrizione nelle liste di c.o.

assegno di invalidità ed iscrizione nelle liste di c.o.

pensione di inabilità

1) DANNO BIOLOGICO: armonizzazione dei "requisiti medico-sanitari" sulla base di una valutazione tabellare comune per responsabilità civile, assistenza e previdenza.

2) RESPONSABILITà CIVILE: risarcimento del danno alla salute e degli eventuali danni patrimoniale e morale; utilizzo della stessa valutazione tabellare delle assicurazioni sociali e della determinazione delle potenzialità lavorative per la graduazione del punto.

3) INAIL: risarcimento/indennizzo del danno alla salute basato sulla graduazione del valore del punto attribuito alla percentuale di danno biologico, graduazione ottenuta tramite coefficienti maggiorativi relazionati sia all’entità di danno biologico che all’età del soggetto. Per quanto attiene al danno lavorativo è stata prospettata l’introduzione di valori soglia di danno biologico rispettivamente nella misura del 30%, 50% e 80%. Qualora le modifiche ambientali necessarie non siano attuabili sul posto di lavoro in essere o siano necessari dei corsi di riqualificazione professionale (livello 3), si propone l’iscrizione nelle liste del C.O. con "rendita di passaggio". Per livelli superiori di limitazione della potenzialità lavorativa sono inoltre ipotizzabili due prestazioni analoghe a quelle ex art. 6 L. 222/84 e non cumulabili con queste. Anche per i titolari di una rendita d’invalidità dovrebbe divenire obbligatoria l’iscrizione nelle liste di C.O.; va considerata l’opportunità di una riduzione o una sospensione della rendita con la ripresa dell’attività lavorativa.

4) INPS: viene proposto un duplice requisito sanitario: percentuale soglia di danno biologico indicativa (50% e 80%) o tassativa (± 5%) e determinazione delle potenzialità lavorative. Anche il riconoscimento medico-legale INPS deve essere raccordato con l’istituto del C.O. Le prestazioni di invalidità INPS potrebbero divenire parzialmente cumulabili (50%) solo con il lavoro part-time.

5) PENSIONISTICA PRIVILEGIATA ORDINARIA: deve essere in tutto ricondotta a quanto previsto per l’assicurazione INAIL ed interessare tutti i dipendenti pubblici qualsiasi sia la loro categoria d’appartenenza. Ovviamente per tutti deve essere prevista l’analoga previdenza dell’assegno di invalidità e della pensione di inabilità anche per patologia comune, non dipendente cioè da causa di servizio. È, infatti, socialmente ingiusta l’applicazione del solo art. 2 (inabilità) limitata, per giunta, ai soli dipendenti pubblici non militari. È inoltre necessario prevedere per tutti la ricollocabilità all’interno della struttura, indipendentemente dal riconoscimento della causalità di servizio. Solo così potranno essere evitati assurdi riconoscimenti di "privilegi" inesistenti che si risolvono in un fiume di danaro disperso in mille rivoli.

6) INVALIDITà CIVILE: va rigorosamente limitata al cittadino non altrimenti assicurato. Tutti i soggetti di fronte ad una prestazione di ordine assistenziale debbono essere uguali, per cui l’unico riferimento comune a tutti è il danno biologico. Le tabelle attuali non sono adeguate in quanto valutano su parametri mal definiti, non il danno biologico, ma un’ipotetica e quanto mai aleatoria riduzione della capacità lavorativa in attività definite (non si sa su quale base tabellare) "confacenti". Le prestazioni pensionistiche (assegno e pensione) e il C.O. (con esclusione della "rendita di passaggio") dovrebbero essere erogate in modo strettamente analogo a quanto previsto per l’INAIL e per l’INPS.

7) INDENNITà D’ACCOMPAGNAMENTO ED ASSISTENZA CONTINUATIVA: i termini di assegnazione debbono essere identici per tutte le categorie di inabili.

 

RIASSUNTO

Il riferimento di ogni danno alla sola riduzione della capacità lavorativa (generica, specifica, attitudinale o in attività confacenti alle sue attitudini) è fonte di fondamentale ingiustizia perchè non esiste una sola tabella di valutazione.

Il danno biologico, in accordo con la giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana sul danno alla salute, è l’evento base di ogni infermità e deve essere valutato mediante una tabella morfo-funzionale in tutti i diversi ambiti della sicurezza sociale. A livello governativo sarebbe opportuno un riesame dei rischi tutelati in campo previdenziale, ed in particolar modo in ambito INAIL. L’analisi delle potenzialità lavorative ed il danno biologico vengono proposti per un nuovo approccio metodologico al problema.

SUMMARY

The persistent reference of every injury to the only working disability (generic, specific, aptitudinal or "in employments suitable to aptitudes of each person") is a foundamental injustice because there isn’t only one list of valuation.

In according with the jurisprudence of the Italian Constitutional Court about health damage, the biological damage is the direct event of every impairment and it is to value with the application of a morpho-functional percentage table in all the different fields of social security. The Government will need to review yhe insured risks in the previdential matter, particularly of INAIL. The analysis of "working potentiality" and the biological damage are proposed for a new methodological approach to the question.

 

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